Lo scopo del presente saggio è estremamente limitato ed è finalizzato a mettere in luce una specifica componente del variegato mondo architettonico cittadino: si tratta degli antichi e veramente superbi portali sopravvissuti all'ingiuria del tempo ed all'incuria dell'uomo, nonché a quella che in passato è stata una vera e propria politica di distruzione operata a danno dei manufatti soprattutto di epoca barocca o rococò. I palazzi di Ostuni edificati prima del XIX secolo sono estremamente contenuti nei volumi e l'intonaco e la calce li ricopre quasi interamente. Solo i portali e le finissime cornici delle finestre non coperti dal bianco manto evidenziano il finissimo lavoro dei maestri scalpellini e degli scultori che si sono succeduti nel tempo di generazione in generazione tramandandosi da padre in figlio tutti i segreti e le tecniche di una nobile e difficile arte. Nel campo dell'edilizia le maestranze venivano appellate manipoli, se apprendisti, maestri di cucchiara, se semplici manovali, maestri d'intaglio o scalpellini, se particolarmente versatili nell'arte di lavorare la pietra, scultori, se padroni indiscussi dell'arte. Sovente gli scultori erano anche capi mastri ed appaltavano in proprio i lavori anche di notevoli dimensioni: un esempio ci viene offerto da Francesco Zimbalo, progettista e capomastro della cattedrale di Lecce, e Giuseppe Cino, autore della chiesa del Carmine e del seminario della stessa città. Ad entrambi ed al loro talento si deve la realizzazione di gran parte della Lecce barocca. In Ostuni scultori e capi mastri furono nel Settecento Giuseppe Fasano, Giuseppe Morgese, Giuseppe Greco, Gaetano Morgese, Giuseppe Trinchera, per restare sui nomi ricorrenti che appaiono nei documenti di archivio per aver realizzato opere significative in tutto l'alto Salento. La presenza di tanti portali disseminati lungo un'area abbastanza estesa dell'abitato sfugge ai perché la loro collocazione li pone al riparo dagli occhi di coloro che vogliono osservare frettolosamente i monumenti della città bianca. Le strade maggiormente frequentate dai visitatori esterni sono infatti prevalentemente rappresentate da corso Mazzini, corso Vittorio Emanuele II e corso Cavour nonché da via Cattedrale: lungo i lati di esse si ammirano numerosi palazzi risalenti prevalentemente alla seconda metà dell'Ottocento. Negli anni Trenta del secolo scorso il re del Regno delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone decideva di migliorare il sistema viario interno del Paese e faceva progettare da valenti ingegnere la via consolare che avrebbe congiunto Napoli con Lecce. Il tratto riguardante Ostuni fu realizzato intorno al 1840 e comportò un primo sventramento di aree in precedenza occupate da edifici il cui affaccio rincipale era rivolto verso piazza San Francesco e Piazza sant'Oronzo. La Consolare fu decisiva anche per le scelte operate dagli amministratori cittadini subito dopo l'unità d'Italia: si decise infatti di trasformare il convento dei padri francescani in municipio ed il progetto e la conduzione dei lavori fu affidata a tre validi architetti ostunesi artefici poi di tutta una serie di opere realizzate lungo tutto il perimetro urbano della Ostuni ottocentesca. Sorsero così decine e decine di moderni edifici per lo in stile neoclassico o eclettico e diverse antiche abitazioni furono o completamente abbattute o parzialmente modificate nei prospetti: è questo il caso degli edifici sei-settecenteschi edificati lungo l'attuale corso Cavour ma un tempo appellato la via della Foggia. Tutto il tratto di strada compreso tra la guglia di Sant'Oronzo e piazza Matteotti ( un tempo detta piazza San Domenico per la presenza del convento dei padri nelle vicinanze di essa) fu soggetto ad un'energica azione di intervento da parte degli amministratori i quali incaricarono diversi ingegneri di allineare le prospettive degli antichi palazzi e di adeguarli al gusto architettonico del tempo. Tale operazione fu eseguita su vasta scala anche lungo altre vie cittadine e fu così che andarono distrutti in gran numero edifici di pregio delle epoche precedenti. Persero il volto di piazze barocche piazza San Domenico, piazza Sant'Oronzo e piazza San Francesco assumendo il volto odierno in virtù di interventi che si ebbero tra il 1870 ed il 1880. Per realizzare l'attuale largo di Piazza della Libertà si procedette all'abbattimento di edifici secolari quali il Sedile di San Biagio ( era l'antica dimora del partito dei nobili che per secoli avevano retto le sorti politiche cittadine ), il cinquecentesco ospedale, la chiesa di Ognissanti, la torre dell'orologio, le carceri, diverse abitazioni civili tra cui i palazzi un tempo dimora dei Massari, dei Fasano, dei Miccoli, famiglie molto in vista nella Ostuni a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. Tali edifici erano stati oggetto di interventi di consolidamenti e restauri intorno alla metà del XVIII secolo a causa del terremoto del 20 febbraio 1743 ed avevano assunto sembianze rococò. Anche via Cattedrale vide a sua volta distrutti in pochi decenni l'antico palazzo della Corte, sede del governatore e del giudice regio fino agli inizi dell'Ottocento, dotato di un superbo loggione e maestoso portale prima di assumere le attuali definitive sembianze con i lavori di trasformazione eseguiti nel 1934; il palazzo dei duchi Zevallos edificato tra il 1712 ed il 1714 ed attaccato al palazzo della corte ed a quello dei Siccoda; i due palazzi Maresca prospicienti l'attuale piazza le cui facciate furono rifatte di sana pianta; il prospetto della chiesa del Purgatorio, risalente alla prima metà del XVIII secolo, il cui portale e relativa scalinata, che davano sulla cinquecentesca piazza del Moro, andarono murati, mentre un nuovo ingresso al tempio si apriva nella parte retrostante: anche l'oratorio barocco della confraternita del Purgatorio, realizzato al di sopra dell'arco della porta medievale appellata porta Croce delle Palme, subiva la stessa sorte e veniva abbattuto con tutta la porta sottostante. Non si salvava dalla distruzione il prospetto del convento delle Carmelitane edificato nel 1734 e con esso veniva distrutta metà scalinata della chiesa di San Vito Martire. Tante significative distruzioni destinate a modificare sostanzialmente quel volto barocco e rococò che la città si era data nei secoli precedenti fu la logica conclusione di una politica edilizia applicata per decenni da amministratori convinti di agire per il bene della collettività e nel nome del progresso. L'obiettivo principale da raggiungere era di rendere il possibile ampie e transitabili le anguste vie dell'abitato e di darle un volto moderno. Ben poco poteva contare la bellezza di un edificio davanti alle ragioni politiche ed economiche che erano alla base di scelte così radicali sul piano urbanistico. Se a questo si aggiunge il disprezzo che l'arte barocca incontrava nella classe dirigente liberale dichiaratamente anticlericale, possiamo ben comprendere come fosse difficile salvare dalla distruzione tanti monumenti colpevoli di essere stati fatti in uno stile tanto disprezzato. Ci è capitato di leggere numerose storie municipalistiche riguardanti la nostra regione ed abbiamo appurato come fosse una tendenza comune degli studiosi quella di mettere in pessima luce i prodotti dell'arte rococò e di stimolare gli amministratori a sbarazzarsi di monumenti poco stimati ovunque se ne presentasse l'occasione. La rivalutazione dell'arte barocca è un fatto relativamente recente ed ha comportato una maggiore attenzione e considerazione dei fenomeni artistici prodotti tra il Seicento ed il Settecento. Abbiamo accennato in precedenza al gran numero di chiese antiche esistenti in Ostuni. I loro artefici solo da pochissimo incominciano ad avere un nome e ad uscire fuori da quell'assurdo anonimato dove erano stati collocati per assoluto disinteresse di coloro che ne avrebbero dovuto preservare il ricordo. La cattedrale ha trovato il suo storico dell'arte in un erudito locale , don Andrea Anglani, autore di un opuscolo dato alle stampe nel 1935. E' l'unico studio condotto fino ad ora su un monumento tra i maestosi (senza tema di smentita) esistenti in Puglia. Lo stesso autore curava in un secondo tempo un secondo opuscolo attinente la chiesa di San Pietro annessa al convento delle benedettine. Di tutte le altre chiese, comprese le due testé accennate, si trovano brevi descrizioni nelle opere di Ludovico Pepe, storico nato in Ostuni ma vissuto prevalentemente fuori, riguardanti la sua città natale, e negli scritti di Cosimo de Giorgi e di altri studiosi locali. Niente comunque che possa dirsi veramente esaustivo. I monumenti della Città Bianca attendono ancora lo storico dell'arte in grado di darci un quadro completo della loro consistenza e realtà.

I portali del centro storico

I portali costituiscono, come già detto, una presenza molto discreta ma significativa per comprendere il fenomeno legato alla costruzione di residenze private nell'ambito cittadino. I portali strombati della cattedrale, quello della chiesa di San Vito Martire dai piedritti ruotati di quarantacinque gradi con le volute inginocchiate poggiate sulla trabeazione, l'archivolto della chiesa di San Giacomo ed il maestoso portale della chiesa dello Spirito Santo sono stati certamente i modelli ideali a cui i maestri scalpellini si sono rifatti nel realizzare i portali delle abitazioni private. Proprio su questi ultimi è caduta la nostra attenzione determinando la volontà di mostrarli in una sequenza particolare: attraverso cioè l'opera pittorica di un artista locale. E' questo un atto di omaggio verso quella schiera di abili scalpellini a cui si devono attribuire simili opere. Purtroppo ignoriamo i nomi delle maestranze che nel XV secolo realizzarono la cattedrale, la chiesa di Ognissanti e quella di San Giacomo. Gli scarsi documenti giunti fino a noi ci consentono di dire ben poco intorno alle famiglie di maestri muratori e scalpellini esistenti in Ostuni prima del XVI secolo. Solo i protocolli notarili ci consentono di rompere sia pure parzialmente il buio che cela i nomi delle maestranze che si applicarono alla realizzazione dei tanti monumenti di Ostuni. Per la cattedrale si ha notizia di un libro mastro, di cui però si sono perse le tracce, risalente al 1470 e consultato dallo storico Ludovico Pepe. Ostuni nel Cinquecento contava la presenza di ben trentaquattro famiglie nobili provenienti dalle disparate regioni d'Italia ed attratte dalle risorse economiche offerte dal territorio ricco in prevalenza di vasti uliveti e di centinaia di masserie e frantoi. Tali nuclei familiari formavano il già citato Sedile dei Nobili e costituivano una nobiltà serrata con diritto autonomo di aggregazione. Le loro dimore erano dette case palazzate e per lo si affacciavano sulla medievale piazza del Balio risalente al 1228-29 con al centro la gotica cattedrale e si distribuivano prevalentemente lungo le vie dette di San Giacomo, San Pietro, Santa Barbara, San Martino, San Giovanni Evangelista e nei vicinati delle porte maggiori di San Demetrio, Porta Nuova, Porta di Juso, o di San Francesco, porta del Ponte e porta Croce delle Palme. In tali zone si incontrano sovente i segni di quella fiorente nobiltà costituente il patriziato cittadino nei resti di antichi portali, di cornici di finestre splendidamente ricamate nei diversi linguaggi figurativi delle varie epoche, di bugnati quasi ovunque celati sotto uno spesso strato di calce di cui si è fatto un uso massiccio soprattutto nel Seicento considerato il secolo della peste. Dove ancora la pietra manifesta il suo splendore si può ammirare l'opera dei nostri scalpellini e scultori. Si osservino il portale e le cornici delle finestre di palazzo Siccoda, lungo l'attuale via cattedrale, il portale di palazzo Falgheri in via Giovine, il portale e le cornici delle grandi finestre di palazzo Petraroli nel vicoletto retrostante l'ex palazzo del seminario, il portale di palazzo Palmieri vicino il campanile della cattedrale e quelli bugnati di via Continelli ( già via di San Giacomo) per rendersi pienamente conto di ciò che in passato è stata la città di Ostuni. Purtroppo la stragrande maggioranza dei palazzi del Cinquecento e delle epoche antiche sono andati distrutti già a partire dalla seconda metà del XVII secolo a causa di un esodo forzato di tante famiglie nobili costrette ad allontanarsi da Ostuni per non soggiacere agli atteggiamenti del duca Giovanni Zevallos, un arrendatore di corte (prestava denaro al sovrano) che in virtù degli enormi crediti vantati si era fatta assegnare la semplice giurisdizione della città nel 1639 acquistando successivamente il titolo di duca di Ostuni. Abusando dei diritti giurisdizionali ed applicando la giustizia sempre a suo favore lo Zevallos rese la vita difficile al patriziato cittadino, lo spogliò lentamente dei suoi poteri ed usurpò ad uno ad uno tutti i beni e le rendite che la città aveva in precedenza acquistato. I patrizi abbandonarono in massa la città per trasferirsi in luoghi non soggetti a giurisdizione baronale e per essere liberi di esercitare le proprie professioni. I loro palazzi subirono una triste sorte e finirono con l'essere venduti ai conventi o agli aderenti al partito del duca. Le Benedettine nel Seicento ampliavano il loro monastero e si dotavano di una nuova chiesa acquistando ed abbattendo diversi palazzi appartenuti a nobili famiglie ostunesi tra cui quella dei Lercario. La stessa sorte sarebbe toccata nel secolo seguente a diversi altri palazzi (dei Patrelli e dei De Benedictis) distrutti per far posto al complesso delle carmelitane ed alla costruzione della nuova chiesa di San Vito. Sarà comunque dopo il terremoto del 20 febbraio del 1743 che Ostuni conoscerà una febbre nel settore dell'edilizia che non troverà eguali nella sua storia. Fu infatti in seguito ad un evento così traumatico che si procedette ad alienare ai privati cittadini numerosi suoli edificatori, detti nei documenti "fondi terrigni" per edificare case, esistenti nell'area un tempo occupata dal castello normanno ormai in fase di definitivo smantellamento dopo che proprio gli Zevallos nella persona del terzo duca don Bartolomeo avevano proceduto nel 1712 ad abbatterne le torri e ad utilizzare i conci per costruire il loro palazzo. Ricordiamo che il maniero normanno era stato edificato sul punto alto del colle a partire dal 1148 per volere di Ruggero II nonno di Federico II. Anche le poderose mura cittadine furono lottizzate per consentire l'ampliamento di edifici che si attaccavano ad esse. Fu smantellato il quartiere militare risalente al XVI secolo per ospitare la guarnigione della città. Furono abbattuti e ricostruiti diversi conventi e relative chiese. Si procedette infine a rifare intere facciate di vetusti palazzi ed a progettare diversi nuovi quartieri tra cui il borgo Parco. Di quel gran fervore edilizio sono testimonianza oltre i portali anche i loggioni, gli archi pensili ed i pontoni che in numero particolarmente elevato si incontrano lungo le vie dell'abitato antico. Nel 1747 divenne vescovo di Ostuni monsignor Francesco Antonio Scoppa che fece riedificare praticamente dalle fondamenta il seminario, il palazzo vescovile, il famoso ponte in pietra di largo Cattedrale, la chiesa di San Vito Martire e, assieme al sindaco Felice Giovine, tra il 1769 ed il 1771, diede il proprio assenso a che si innalzasse l'attuale guglia di Sant'Oronzo nell'omonima piazza in sostituzione di una colonna votiva collocata nello stesso punto solo pochi anni prima, nel 1756. L'attuale monumento, opera scultorea e non di architettura perché priva di vuoti, vide la luce grazie all'opera dello scultore ostunese Giuseppe Greco, amico personale del vescovo ed amministratore comunale. Monsignor Scoppa nel 1774 ordinava la costruzione dell'attuale coro della cattedrale, del nuovo campanile e commissionava ad abili maestranze i lavori a stucco della stessa chiesa dandole all'interno un volto rococò. Nel 1890-91, sotto il presulato dell'arcivescovo di Brindisi monsignor Palmieri che era anche amministratore perpetuo della diocesi di Ostuni, gli stucchi del Settecento furono tolti e la cattedrale assunse le attuali sembianze. Monsignor Scoppa fu una figura particolarmente importante e determinante nella Ostuni del XVIII secolo e a lui si deve la fortuna di Giuseppe Greco come scultore e artefice oltre che della guglia di numerosi altari in pietra esistenti in diverse chiese cittadine e di portali riccamente intarsiati. La nostra attenzione nel presente saggio si incentra esclusivamente sui portali "storici" della città e sulle antiche famiglie proprietarie. E' proprio in virtù di questo fatto che abbiamo deciso di ripubblicare un breve lavoro composto da Ludovico Pepe dal titolo "Il seggio chiuso della nobiltà di Ostuni", apparso in appendice al "Sommario della storia di Ostuni" edito nel 1898. E' l'unica ricerca che si conosca sulle famiglie nobili di Ostuni, sui loro luoghi di origine e relative vicende. I portali di Ostuni, molti dei quali sormontati da stemmi raffiguranti l'arma di famiglia ed il relativo motto, costituirono per secoli l'emblema della potenza del ceto dei nobili. Diversi portali appartennero anche allo stesso ceto dei maestri scalpellini e scultori e costituivano il biglietto da visita dei proprietari nei confronti di eventuali committenti.